Nicola Micieli – Lo Spirito dalla Materia

Le fragranze e gli umori del mondo quotidiano pervadono ogni fibra della pittura di Bruno Ceccobelli, Per qualche scia o risonanza essi durano, e si rendono percepibili, anche nelle opere che sembrano levitare in un simbolismo astraente. Nel recinto della pittura, le circostanze del quotidiano innescano la fervida epifania dell’immaginario domestico. Sono “occasioni” montaliane, poeticamente producenti se notabili, per quanto private.
Poniamo, l’annuncio di una fecondazione, l’accadimento di una natività, eventi che Ceccobelli registra, con apparente neutralità archivistica, sotto la voce “date memorabili”, innalzando icone come edicole evocative di una micromitografia familiare in cui ognuno può. riconoscere una parte del proprio vissuto.
Sembra che il pittore celebri un rito primaverile, una danza della pernice, un carnevale onirico, quando sottrae al dipanarsi regolare del tempo la battuta che racchiude un senso possibile della vita. Da sacerdote- sciamano, per esorcizzare le ombre dell’esistenza, indossa fastose maschere di fiori, diuccelli, di creature, ed esibisce oggetti rituali, simboli grati di una religione primaria della fertilità risorgente nel divenire ciclico della natura.
Le icone esplìcitamente dedicate a “date memorabili”, ognuna un piccolo altare votato ai Lari, e quelle comunque ispirate alla dimensione del quotidiano, sono stanze d’un itinerario iniziatico, monumenti nel senso etimologico del termine. Ossia luoghi per ricordare. Proposti nel loro insieme, compongono un’iconostasi ideale, e vorrei dire un “palazzo della memoria” per riconoscibili figure e intuibili emblemi, simile a quello che il missionario Matteo Ricci, padre gesuita, immaginò di far costruire ai Cinesi perché potessero apprendervi il Vangelo, nel 1596. Ceccobelli, peraltro, non è animato da intenzioni didattiche mirate all’edificazione. Le pareti del suo “palazzo” non recano cicli decorativi raffiguranti episodi salienti di una epopea sacra o profana, né personaggi comunque esemplari da cavarne materia di soggestione e di insegnamento. Vi compaiono piuttosto aperture o inserti d’un privato in apparenza senza qualità, e intendo di scarso interesse collettivo sul piano della retorica civile, ma certo intrigante e “memorabile” perché rigenerato alla scaturigine visionaria del simbolismo pittorico. Invero, per dilatazione immaginativa l’occasione privata si trasforma in evento di ampia risonanza interiore. Ossia di una durata emozionale che presuppone uno spazio-tempo intuitivo. L’immagine diviene schermo proiettivo, non nei senso dell’automatismo freudiano che fa teatro onirico del vissuto, sibbene di un’elaborazione visionaria in cui rifluiscono simboli figurali di estesa appartenenza antropologica. L’artista assume un ruolo medianico, veicolo tuttavia provveduto di quel fluire di cui è parte integrante, come una fibra del grande tessuto della sensibilità universale, ma che pure egli domina nell’atto del renderlo visibile in quanto pittura. Ecco, tra abbandono e controllo vi è un’area di contatto e di osmosi in cui si colloca, sempre mutevole nel divenire del processo creativo, lo spazio possibile della tabulazione personale, direi l’interstizio disponibile al gioco delle scelte di linguaggio e poetiche, da cui scaturisce il senso della visione.

Nicola Micieli
Maggio 1996